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Buone notizie
- Peter Hocken
Il 10.06.2017 il Signore ha richiamato a sé nella notte padre Peter Hocken. All’età di 85 anni non compiuti se n’è andato un amico, un sacerdote, una persona sempre intenta a servire il Signore e il Suo corpo mistico. Dio gli ha donato un intelletto straordinario e una grande saggezza, insieme all’esperienza del battesimo nello Spirito Santo. È stato in grado di descrivere in maniera comprensibile e specifica le esperienze teologiche e spirituali della Chiesa di oggi, specie dopo il Concilio Vaticano II. - Kara Tippettsová
- Liu Žen jing - (brat Yun)
La Chiesa sotterranea cinese è sottoposta ad una crudele repressione e persecuzione anche in questi giorni. Yun sostiene che anche grazie alla persecuzione ormai più che trentennale, alla sofferenza e alle torture, oggigiorno i fedeli della Chiesa sotterranea cinese sono sempre più pronti a sacrificare la vita nei paesi musulmani, induisti o buddisti, per Gesù Cristo e per l'annuncio del Vangelo. - Egidio Bullesi
Intanto a 13 anni prese a lavorare come carpentiere nell’arsenale di Pola, dove nonostante la giovane età, si fece notare per la coraggiosa pratica della sua fede cattolica, specie in quell’ambiente di affermato socialismo, meritandosi comunque l’ammirazione e la stima di tutti.
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Siamo tutti parte di una grande storia. La grande storia del mondo è composto di storie passate e presenti della vita delle singole persone. Il portale mojpribeh.sk si concentra sul momento più importante della storia del mondo e individuale, il momento della personale esperienza di persona con Dio.
Storia - Peter Gombita
Il mio racconto di fede in Dio
Peter Gombita, sacerdote cattolico e parroco della Slovacchia, celebre per le sue maratone per i poveri.
È direttore dell’organizzazione non profit Oáza-nádej pre nový život, n.o. (Oasi di speranza per la nuova vita)
Ho avuto la fortuna di avere genitori che ci hanno educato nella fede. La fede in Dio era parte integrante della loro vita, dei loro pensieri, delle loro parole e dei loro atti. Sono cresciuto in una famiglia dove non solo si andava in chiesa a messa, ma si viveva la Parola anche nell’atto pratico.
Ed è dunque ancora più triste il fatto che in età adolescenziale entrai nella solita fase di ribellione verso Dio; o meglio, iniziai a pormi delle domande sulla Sua esistenza. Polemizzavo con Lui, anzi ci litigavo.
Il primo contatto con Dio ebbe luogo attraverso la mia coscienza e un giorno ne ebbi la dimostrazione pratica quando a scuola ci fecero compilare uno strano questionario. Le domande riguardavano la religione e il nostro rapporto con Dio. Dovevo rispondere se andavo in chiesa, se qualcuno mi insegnava a pregare, se in casa pregavo e con chi.
Avevo paura che la verità avrebbe potuto nuocermi. In quegli anni la fede in Dio era mal vista. Chiesi dunque ad un compagno di classe cosa scrivere sul questionario. Lui mi disse che era meglio scrivere cose vaghe, qualsiasi cosa... Non c’era bisogno di dire la verità. Del resto a chi importa se scriviamo la verità o meno... Scrissi dunque che a messa ci andavo solo saltuariamente, che mi è capitato di pregare con la nonna e che non mi sono mai soffermato a riflettere se Dio esista o meno. Dopo aver consegnato il questionario mi sentii triste, arrabbiato, sentivo dei rimproveri nel mio intimo. Non avevo scritto la verità. Ero un codardo. E non volevo esserlo. Così per cercare di motivare il mio agire mi chiesi se esistesse davvero Dio. Come prima risposta pensai che forse alla fine non esisteva neppure. E allora perché andare in chiesa? Perché provare rimproveri interni? Fu così che analizzai le mie sensazioni, anzi analizzai me stesso in piccolissime parti. Tra l’altro all’epoca le messe erano ancora in latino; il nostro sacerdote ripeteva da quasi un anno la stessa predica. Non mi sorprende che a me interessava di più ciò che facevamo dopo la messa – incontri con amici, discorsi di calcio, divertimenti, film, ecc. Capii che non andavo in chiesa per Dio, che non L’avevo mai trovato lì, e che ci andavo piuttosto per quello che facevamo dopo la messa. Non sentivo la presenza di Dio nella mia vita e non capivo come facesse mio padre a pregare così a lungo in ginocchio.
E poi di colpo sorse in me un pensiero, anzi una domanda:
E se Dio esistesse davvero? Se fosse la verità?
Mi è sempre piaciuto girare per la natura, pescare pesci e gamberi, andare a funghi, osservare il firmamento di notte. Di colpo iniziai a concepire tutto ciò sotto un altro punto di vista. Capii che tutto quello che c’era, quelle meraviglie, qualcuno le aveva dovute creare e metterle in ordine; qualcuno che ha stabilito le leggi che fanno funzionare tutto così perfettamente. Eppure non volevo accettare un Dio come lo presentava il nostro sacerdote – un Dio che non fa che arrabbiarsi, minacciarci di mandarci all’inferno e di punirci. Rifiutavo questo Dio dentro di me. Non volevo aver paura dell’eternità.
Per circa due anni mi cullai nel pensiero che non dovevo preoccuparmi di nulla e soprattutto che non c’è nessuno cui rendere conto delle nostre azioni, anche cattive. Ammettevo anche l’esistenza di Dio, ma mi rifiutavo di accoglierLo nel cuore e nella vita. Non volevo poliziotti che mi controllassero, rimproverassero e punissero. Non volevo avere rimorsi o essere sempre triste. Avevo sempre l’impressione di avere addosso un’ombra che mi poneva in continuazione una domanda:
E se Dio esistesse? E se prima o poi mi dovessi trovare davvero ad incontrarLo? Che succederà?
Quando iniziai a pensare così, mi accorsi di provare anche gioia, felicità, pace; anzi queste sensazioni erano sempre più forti. In uno di quei momenti, in un solo attimo, fui così riempito di felicità e amore, che riuscii a capire in maniera del tutto chiara che stavo vivendo la presenza di Dio. Lo sentivo, lo percepivo... Era qualcosa di così intenso e grandioso che mi sembrava impossibile da vivere nel nostro corpo umano, senza che ciò lasciasse tracce indelebili in noi. È qualcosa che si può vivere solo per volontà divina, con la Sua grazia e con il Suo aiuto. L’eco di questa fortissima esperienza durò per circa quattro anni. Durante questi anni studiavo e lavoravo normalmente, mi innamorai anche di una ragazza e vivevo la vita di tutti i giorni – eppure avevo continuamente la sensazione di librarmi su un altro mondo.
E di colpo mi chiesi se non valesse la pena condividere questi momenti di gioia con gli altri. Ma in che maniera?
Ebbi ancora un’idea – diventare sacerdote. Ebbi paura. Volevo essere padre di famiglia, come avrei potuto fare il prete? Lottai circa un anno nel mio intimo. Pregai Dio. Non più meccanicamente come prima. Ora le mie preghiere erano più intense, personali. Erano dialoghi con Dio. Erano anche richieste, affinché Dio mi mostrasse la strada giusta; da solo infatti non sapevo decidere. Non volevo perdere quella felice opportunità, ma dall’altro lato mi garbava ancora l’idea di mettere su famiglia. Col passare del tempo il desiderio di Dio e del sacerdozio iniziava a prevalere e a crescere d’intensità.
Con l’esperienza dell’incontro con Dio, cambiava anche la mia vita, il mio comportamento e il modo di confrontarmi col mondo. Sentivo che dovevo cambiare e che la cosa doveva essere visibile anche al di fuori. Dovevo cambiare alcuni miei comportamenti: smisi di fumare, iniziai a fare il bucato da solo e ad occuparmi meglio di tante piccole cose. A molte persone che mi stavano attorno questi miei atteggiamenti cominciavano a dare fastidio. Raccoglievo le carte che quelli buttavano a terra oppure – a differenza dei colleghi – obliteravo regolarmente il biglietto sull’autobus. Una volta addirittura mi bloccarono le mani per non farmi obliterare il biglietto. Io attesi l’arrivo a destinazione e poi prima di scendere lo strappai. Non volevo viaggiare in nero; avevo infatti appena sfruttato il servizio tram ed era giusto invalidare il titolo di viaggio. Altrimenti sarebbe stato un furto, qualcosa di ingiusto.
Volevo vivere nella verità e nella giustizia al di dentro e al di fuori.
Ricordo i turni da dodici ore all’altoforno. Il venerdì uscivamo prima, ma timbravamo come se avessimo svolto il turno pieno. Io andai dal capo e lo pregai di firmarmi il numero esatto di ore lavorate. Quello non capì e la cosa non piacque neppure ai colleghi.
Ogni volta che ho corretto o migliorato qualcosa (anche intere situazioni) ho sempre provato una gioia immensa, che mi spingeva – di conseguenza – a perseverare nel fare il bene.
E dopo aver fatto pulizie “all’esterno” cominciai a muovermi verso l’interno, e infine andai a confessarmi. Lì dissi letteralmente il mio “sì” a Dio.
Lasciai la mia ragazza. Avevo chiesto infatti a Dio come poter condividere al meglio quella gioia che sentivo dentro. E la risposta sembrava essere proprio la strada del sacerdozio e dell’annuncio della Sua Parola.
- S.: Oggi lavoro con persone poverissime. Mi accorgo di ciò che il male ha fatto nelle loro vite, in famiglia, nella salute. E mi accorgo che quando una persona “così ridotta” invita Dio nella propria vita, tutto inizia a cambiare e a guarire. L’uomo può vivere e migliorare solo con la potenza di Dio.
Ogni volta che aiutiamo gli altri, ci sono sempre ripercussioni positive anche sulla nostra vita. È successo e succede anche a me. Incontro Gesù nella bellezza e nel bene, che mi riempiono di gioia perché mi adopero nell’aiutare il prossimo. E invito tutti a seguire questo cammino. È l’unico modo garantito per vivere un’esistenza felice e benedetta.
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Nell’intervista Petr Jašek racconta le sue esperienze a sostegno dei cristiani perseguitati nel mondo, la sua prigionia in Sudan, i buoni musulmani e le torture dell’ISIS, 4 mesi in cella d’isolamento, e il suo interessante punto di vista sull’Islam, l’orientamento spirituale dell’Europa, l’opinione dei musulmani sulla crisi migratoria e sull’Europa, e infine il suo messaggio e invito all’umanità. - Ján Volko
Credo che sia un ruolo davvero significativo. La fede in Dio mi sostiene nei momenti più duri ed anche nelle gare. Sento come Dio mi fa dono della Sua grazia e benedizione; e questo mi carica enormemente.