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Buone notizie

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Siamo tutti parte di una grande storia. La grande storia del mondo è composto di storie passate e presenti della vita delle singole persone. Il portale mojpribeh.sk si concentra sul momento più importante della storia del mondo e individuale, il momento della personale esperienza di persona con Dio.

Intervista - Petr Jašek
La pace e la vicinanza di Dio nella sofferenza

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Volontario dell’organizzazione Hilfsaktion Märtyrerkirche - Aiuto alla Chiesa perseguitata Lavora anche per l’organizzazione ceca da lui co-fondata Hlas mučeníkov (La voce dei martiri). In Sudan era stato condannato a 20 anni di carcere. Ha lavorato per 20 anni nel settore della sanità - biochimica clinica, ematologia e trasfusioni di sangue. Dal 2002 lavora a tempo pieno per l’organizzazione sorella americana “Voce dei martiri”. L’intervista a Peter Jašek è disponibile anche su DVTV.

Nellintervista Petr Jašek racconta le sue esperienze a sostegno dei cristiani perseguitati nel mondo, la sua prigionia in Sudan, i buoni musulmani e le torture dellISIS, 4 mesi in cella disolamento, e il suo interessante punto di vista sullIslam, lorientamento spirituale dellEuropa, lopinione dei musulmani sulla crisi migratoria e sullEuropa, e infine il suo messaggio e invito allumanità.

Lanno scorso, in Sudan, Lei è stato ingiustamente accusato, condannato e detenuto. Addirittura si paventava la pena capitale. La Sua fede in carcere è stata messa alla prova col fuoco. Per cominciare però mi piacerebbe sapere qual è stato il Suo cammino di fede in Gesù Cristo prima di questo tragico evento della Sua vita.

Devo dire che ho avuto il privilegio di crescere in una famiglia credente. Mio padre era pastore protestante (luterano). Anche da parte di mia madre, tutte le generazioni precedenti erano sempre state credenti.

Eppure la fede non è ereditaria. Bisogna arrivare ad un rapporto personale con il Signore Gesù Cristo, nascendo di nuovo. Come vedete, non vè nulla di ereditario in questo. Dobbiamo rinascere in Cristo. E a me è successo qualcosa del genere.

Non ho mai vissuto fasi di ribellione verso Dio. Ho sempre ubbidito ai genitori e mi sono sempre recato regolarmente agli incontri dell’assemblea dei fedeli. All’età di circa 15 anni, al primo anno di liceo, partecipai ad un camposcuola cristiano nella Germania Orientale. Fu lì che sentii la parola di Dio sul Giudizio divino, sulla nostra preparazione e sull’affidamento della nostra vita a Cristo. E fu lì che presi una decisione. In silenzio, senza ostentazione, da solo davanti a Dio, dopo sinceri momenti di riflessione, in tutta spontaneità, senza che nessuno mi manipolasse. Fu una decisione mia, presa del tutto liberamente. Da quel momento la mia vita cambiò a tal punto che ricevetti un coraggio immenso e non ebbi più reticenze nel parlare di Gesù Cristo ai miei compagni di scuola ed anche ai professori del liceo. Da quel momento non ho mai smesso di vivere insieme al Signore Gesù Cristo. Fu una decisione presa ad un’età ancora relativamente giovane, ma determinante e permanente per la mia vita.

Quali sono state le circostanze della Sua vita che Le hanno consentito di rendere più profondo il Suo amore verso Cristo?

Nei miei anni di gioventù, quando presi quella decisione, i miei genitori erano attivi in tutta l’ex Cecoslovacchia e – oltre al loro servizio ufficiale nella Chiesa luterana – organizzavano anche incontri per giovani di varie altre denominazioni. E così ci accattivammo le “simpatie” della polizia segreta di Stato... La nostra abitazione era continuamente sotto controllo e così anche le nostre attività. Un giorno, tornando da scuola, venni a sapere che avevano fermato entrambi i miei genitori e che li stavano sottoponendo ad interrogatori. Quando mio padre tornò a casa mi diede un libro in tedesco. Già all’epoca conoscevo questa lingua. Il libro si chiamava “In Gottes Untergrund” e l’autore era un certo Richard Wurmbrad, pastore protestante rumeno, che aveva trascorso ben 14 anni nelle carceri comuniste. Di cui tra l’altro più di 3 anni in cella d’isolamento. Mio padre mi diede quella pubblicazione invitandomi a leggerla attentamente, perché mi avrebbe sostenuto e incoraggiato nella fede. Lessi quel libro dall’inizio alla fine e ancora oggi devo dire che – dopo la Bibbia – è il libro che più ha segnato la mia esistenza, rafforzando allora la mia fede di ragazzo che aveva appena preso la decisione di vivere per Cristo. L’autore racconta i tormenti e le sofferenze patite nelle carceri del regime comunista negli anni ‘50 e ‘60. Per me quel libro è stato un elemento che ha fortificato la fede e la volontà di seguire e imitare Cristo, ad ogni costo.

Mi accorsi subito che la persecuzione subita dalla nostra famiglia era una bazzecola rispetto allesperienza di Richard Wurmbrad sotto il regime comunista in Romania.

Alla fine, se ricordo bene, nel 1965 lo espulsero dal paese e lo “vendettero” ad un’organizzazione missionaria norvegese che lo riscattò per 10.000 dollari, compresi anche il figlio e la moglie. Prima che lasciasse il paese non dimenticarono di avvertirlo che, se avesse raccontato della sorte dei cristiani in Romania, l’avrebbero presto trovato e l’avrebbero ucciso. Non erano minacce infondate. Dopo la caduta del regime di Ceausescu suo figlio frugò con molta attenzione gli archivi della “securitate”. E lì trovò davvero nome e cognome di un tale inviato in California per uccidere suo padre. Alla fine la missione non andò in porto. Il Signore aveva deciso altrimenti. E così, nel 1967, Richard Wurmbrad fondò un’associazione cristiana internazionale chiamata “Voice of the Martyrs”, il cui obiettivo principale è fornire informazioni sulla persecuzione dei cristiani nel mondo e ovviamente di prestare soccorso ai perseguitati. Quella rimase una delle esperienze più intense della mia gioventù. Qualche anno dopo mi capitò di parlare di quel libro ad un mio compagno di studi universitari. Ricordo che anch’egli – convertitosi di recente – rimase straordinariamente impresso dal racconto. E qualche tempo dopo, proprio egli divenne presidente della nostra organizzazione “Aiuto alla Chiesa perseguitata”. Si tratta di nostro fratello Stanislav Forejt, che successivamente cominciò ad invitare alcuni rappresentanti dell’organizzazione tedesca HMK – Hilfsaktion Märtyrerkirche (appellativo che volendo potrebbe anch’esso essere tradotto come “Aiuto alla Chiesa perseguitata&rdquo. In ogni modo i nostri amici tedeschi nel 1992 ci aiutarono a costituire la filiale ceca della loro organizzazione. Oggi abbiamo più di 25 anni e sono davvero lieto di essere ancora attivo come uno dei membri co-fondatori. Attualmente funzioniamo come circolo. Io opero su base di volontariato. Traduco articoli o compongo resoconti sui miei viaggi. Mi occupo anche dell’organizzazione di alcuni progetti di sostegno o altrimenti fungo da elemento di contatto con le nostre organizzazioni sorelle “Voice of the Martyrs” (circa una ventina in diversi paesi del mondo). È così dunque che mi adopero per la Chiesa perseguitata. Dal punto di vista personale ritengo che questo ruolo sia per me sia un grande onore, anzi un privilegio – dato che un tempo sono stato io stesso beneficiario di aiuto ed incoraggiamenti da parte dei cristiani dei paesi occidentali al tempo della persecuzione in casa nostra, quando eravamo noi a ricevere letteratura cristiana e copie della Bibbia. Sono dunque fiero di poter far parte di un’organizzazione che fornisce lo stesso tipo di sostegno ai cristiani perseguitati di oggi.

Quando e come è sorto in Lei il desiderio di servire la gente nei paesi poveri, compresi addirittura quelli musulmani, dove i cristiani e i missionari rischiano la vita?

Per cominciare sottolineerei che la nostra International Christian Association ha l’obiettivo primario di aiutare i cristiani perseguitati. E lo facciamo in diversi modi. Da una parte informiamo il mondo occidentale sulle persecuzioni per ricevere sostegno nello sviluppo di vari progetti. Noi personalmente, come organizzazione mondiale, non inviamo missionari. I mass-media mi hanno spesso erroneamente definito come “missionario”. Non mi sento un missionario, anzi non lo sono affatto. L’intento della nostra organizzazione non è l’operato missionario. Noi riteniamo che i migliori missionari per i paesi in questione siano proprio gli abitanti di quei paesi stessi. In altre parole, sono essi che sanno cosa fare. Quanto a noi, ci limitiamo ad assisterli e a fornire loro strumenti necessari a rendere efficiente il loro ministero di evangelizzazione. In termini concreti si tratta di materiale tecnico per proiettare film, annuncio del Vangelo attraverso sistemi PR (quando si vuol parlare ad un pubblico piuttosto vasto) o ancora mezzi di trasporto per raggiungere anche le zone più distanti. Per lo più parliamo di motociclette, biciclette e solo in qualche occasione anche di automobili. E poi ci sono i computer o altri dispositivi per la riproduzione di materiale educativo con messaggio cristiano. Un altro contributo assai importante da noi fornito è la diffusione della Parola di Dio in formato elettronico, formato audio, su MP3. Lo facciamo soprattutto nei paesi in cui è pericoloso distribuire Bibbie stampate oppure in posti con prevalente analfabetismo, dove è molto più comodo ascoltare la Bibbia, invece di leggerla. Insomma, noi direttamente non inviamo missionari in giro. Nel 2002 ho rinunciato alla mia carriera di direttore di ospedale. Fino ad allora avevo lavorato per 20 anni nel settore della sanità - biochimica clinica, ematologia e trasfusioni di sangue. Dal 2002 ho iniziato a lavorare a tempo pieno per la nostra organizzazione sorella americana. I miei viaggi nei paesi dove i cristiani sono perseguitati sono per lo più brevi spostamenti, in posti dove abbiamo già qualche contatto o ci apprestiamo a sviluppare nuovi contatti con i rappresentanti delle chiese locali. Portiamo avanti diversi colloqui con loro. Cerchiamo di capire i loro veri problemi. Ci sforziamo di rilevare quali sono le loro effettive necessità, affinché il nostro operato sia il più efficace possibile. Io personalmente mi reco, pur per breve tempo, in posti ad alto rischio, dove i cristiani sono uccisi, torturati e imprigionati. Fa parte del mio lavoro quotidiano. Non rimango lì mesi interi. Svolgo azioni mirate e a breve termine, di norma per una o due settimane, in base al bisogno. Grazie alla tecnologia e ad internet molti spostamenti fisici sono stati sostituiti dalla comunicazione online. Non sono mai stato fuori dunque per lungo tempo, ad eccezione del mio ultimo viaggio in Sudan, dove la mia esperienza è durata ben 14 mesi e mezzo. Per il resto solo viaggetti. Partii per il Sudan nel dicembre 2015 con l’intento di restarvi solo 4 giorni. Sapevo già con chi dovevo incontrarmi e non avevo neppure previsto di uscire dalla capitale del paese.

Cosè stato a portarLa in Sudan?

Il mio obiettivo era incontrarmi con le colonne della chiesa locale. Nel mese di ottobre 2015 avevo partecipato ad una conferenza sul Sudan tenutasi ad Addis Abeba in Etiopia. Lì incontrai una quindicina di partecipanti sudanesi e più o meno un’altra quindicina di persone provenienti da paesi occidentali. Alcuni di quei sudanesi erano stati costretti a lasciare il proprio paese, ma restavano in contatto con la Chiesa locale perseguitata; anzi erano diventati un vero e proprio contatto con l’estero. Era una conferenza “inter nos” di circa trenta persone, ma ebbi la possibilità di conoscere gente che mi promisi di rivisitare e che mi presentarono la durissima situazione dei cristiani perseguitati in Sudan. Dissi loro che avrei fatto una capatina da quelle parti nel giro di poco; in modo particolare avrei voluto realizzare un’intervista con quello studente quasi bruciato vivo di cui s’era tanto parlato alla conferenza. E così, poco tempo dopo, decollai per la missione. Sarei dovuto rimanere laggiù dal 6 al 10 dicembre 2015. Riuscii ad ottenere il visto in tutta semplicità. Bastava la prenotazione di una camera d’albergo e il biglietto aereo di ritorno. Mi rilasciarono dunque un visto turistico. Il mio obiettivo primario era documentare i vari casi di persecuzione, sia di persone singole che di collettività, chiese e comunità. Proprio in quel periodo tutte le chiese erano state demolite in seguito a nuove disposizioni delle autorità statali.

Per quale motivo dunque Lei è stato accusato e detenuto?

Già all’aeroporto, quando mi hanno fermato e arrestato prima che m’imbarcassi per tornare in patria, mi hanno subito chiesto con un inglese stentato quale fosse l’obiettivo del mio viaggio. La comprensione reciproca era scarsissima per via della loro pessima padronanza della lingua inglese. Provai anche con altre lingue come il francese, il tedesco o il russo. Tutti sanno che i servizi di sicurezza del paese hanno stretti contatti con la Russia e con il servizi segreti russi. Dissi di essere arrivato per turismo, ma già in aeroporto mi mostrarono varie foto facendomi capire che ogni mio passo era stato ben documentato. Voglio dire, tutti gli incontri cui avevo partecipato in precedenza. Addirittura alcune foto erano state scattate da telecamere notturne, col loro tipico sfondo grigioverde. Niente era stato lasciato al caso. Gli incontri serali da me tenuti nel loro paese erano stati ben filmati o fotografati. M’avevano seguito fin dai miei primi passi nel paese. Alcuni codetenuti mi rivelarono poi che molto probabilmente le autorità sapevano di me ancor prima che atterrassimo. Del resto, nel corso degli interrogatori ebbi conferma di tutto ciò che sapevano già dai tempi della conferenza di Addis Abeba. Mi chiedevano cose a loro note ma a me no... E così sembrava proprio che non volessi rispondere alle loro domande. Ma in verità ne sapevo ben poco. Di alcuni partecipanti alla conferenza ricordavo solo i nomi di battesimo; ed altri ancora non li conoscevo affatto. In ogni modo, i codetenuti avevano assai probabilmente ragione. Ero già noto alle autorità sudanesi prima ancora del mio arrivo. L’ultima goccia fu che possedevo 3 passaporti (della Repubblica Ceca) tutti a nome mio, con gli stessi dati, codice fiscale, ecc. Il motivo è semplice. Dato che viaggio moltissimo, spesso mi trovo a dover inviare i passaporti in diversi paesi contemporaneamente. Non viaggio mai con un solo passaporto. Ne ho sempre almeno due. I sudanesi la pensavano però diversamente. Era chiaro che ero una spia. Chi altro infatti viaggia con due passaporti?

Vollero il mio computer, laptop, telefono, telecamera, tutto... Io avevo messo in conto - come sempre - che sarei potuto incappare in qualche controllo.

Avevo già collezionato diverse esperienze simili, specie tornando dai paesi dell’Asia Centrale. Controllano praticamente tutto ciò che portate. Non avevo con me le foto di quello studente ustionato, o meglio le avevo cancellate. Eppure non mi sarei mai aspettato un controllo di quella rigorosità, altrimenti avrei cancellato i file sovrascrivendoli con un apposito programma che ho nel computer. Avrei potuto farlo benissimo. Avevo varie foto e documenti delicati nella parte del disco non accessibile senza credenziali. Il problema principale era però che alcune foto cancellate erano rimaste nella scheda della memoria. Anche mio figlio quando andava alle elementari sapeva ripristinare foto cancellate e non sovrascritte. E così fecero le autorità sudanesi fin dal primo interrogatorio. Come primo capo d’accusa sostenevano che avevo abusato del visto turistico e realizzato operazioni per le quali non possedevo alcun permesso. Questo era il primo e principale motivo del mio fermo. Non è che però me lo comunicarono chiaramente. Fu solo qualcosa che riuscii a dedurre da solo in base ai primi interrogatori e alle prime indagini.

Come ha vissuto lesperienza del carcere e comera la situazione concreta della Sua detenzione? Come ha vissuto tutto questo la Sua famiglia? Eravate in contatto in qualche modo?

Dopo l’arresto per 10 giorni non ho avuto assolutamente modo di contattare la mia famiglia. Dopo 10 giorni mi hanno permesso di chiamare mia moglie per soli 30 secondi ed esclusivamente in inglese. Non mi permettevano di parlare ceco. Mi avevano anche preparato la frase da pronunciare, ovvero che stavo bene, ero sano e salvo, che c’era stata una specie di malinteso e che mi sarei rifatto sentire. Da allora non mi fu concessa alcuna comunicazione per 8 lunghissimi mesi, fino a quando - in un carcere - ebbi la possibilità di chiamare a casa a pagamento. L’11° giorno dopo l’arresto mi venne a trovare il console dell’ambasciata ceca al Cairo, dato che in Sudan il mio paese non ha rappresentanza a livello di ambasciata. Fu una mano santa e mi diede varie notizie sulla mia famiglia. Era tristissimo pensare che a casa mi aspettavano e io mi trovavo in galera. A casa erano abituati ai miei SMS o chiamate via Skype al primo scalo utile. Nel caso specifico avrei dovuto fare scalo a Nairobi e poi ad Amsterdam per poi proseguire per Praga. L’ultima telefonata con mia moglie era stata un’ora prima di lasciare l’albergo. L’avevo salutata dicendole che mi sarei rifatto vivo non appena avrei trovato una connessione ad internet – o al peggio avrei inviato un SMS.

E invece le cose andarono diversamente e mia moglie aveva subito capito che qualcosa non andava. La cosa più brutta è essere consapevole che gli altri non hanno idea di cosa sia accaduto. Avevano chiamato in albergo ed erano venuti a sapere che avevo effettuato regolare check-out. S’erano riusciti a mettere in contatto anche con l’autista del pulmino che m’aveva accompagnato all’aeroporto. E questi aveva ovviamente risposto di avermi regolarmente scaricato. Poi avevano contattato anche la compagnia aerea ed erano venuti a sapere che avevo ritirato i biglietti ma che non mi ero imbarcato. Nel frattempo i servizi segreti sudanesi avevano inviato false informazioni all’ambasciata ceca al Cairo. Avevano infatti comunicato che il motivo del mio fermo era il contrabbando di pelle di tigre... Avevano anche informato l’ambasciata del fatto che io ero titolare di due passaporti. Inizialmente il personale dell’ambasciata pensò che io potessi avere qualche doppia nazionalità; poi invece si accertarono che in effetti possedevo regolarmente due passaporti identici. La sensazione più brutta comunque continuava ad essere quella di pensare che a casa nessuno sapeva niente e che mi aspettavano. 

Lincognita totale sul mio destino e lessere consapevole che a casa non erano al corrente di nulla erano due aspetti che mi tormentavano nel più profondo dellanima.

Del resto uno degli obiettivi di chi mi aveva arrestato era anche quello di dividerci. Dopo quell’episodio cui ho accennato, non ebbi più opportunità di chiamare a casa. Vi riuscii di nuovo il 15 febbraio, dopo due mesi di silenzio assoluto. Quando capii che non mi permettevano di contattare casa, iniziai uno sciopero della fame di protesta. Per 8 giorno mi limitai a bere solo acqua, senza assumere i farmaci che avevo con me. Dopo 4 giorni mi portarono in ospedale per paura che non svenissi. In ospedale mi fecero a forza delle flebo di glucosio e si scoprì che soffrivo di una forte anemia. A quel punto decisi di cessare lo sciopero della fame. Ciò che si vive internamente è relativamente complesso da spiegare, ma – ripeto – la cosa più brutta è sapere che la famiglia soffre. E forse questo fa ancora più male di quel che si prova di persona. Tutte queste esperienze mi hanno portato a vivere la vicinanza di Dio, nella sofferenza e in diverse situazioni che umanamente definiremmo sofferenza psicologica. E comunque, da parte di alcuni codetenuti, specie quelli che facevano parte o simpatizzavano per lo Stato Islamico ho anche subito violenze sia verbali che fisiche.

Allinizio non riuscivo a pensare a lungo alla famiglia e neppure a pregare per essa. Non riuscivo a rassegnarmi al fatto che non potevo fare nulla per i miei cari. Così cercavo di reprimere come potevo i pensieri sulla famiglia, in modo da non cedere psicologicamente.

Immaginatevi di passare le giornate in una cella sovraffollata dove ben 5 volte al giorno ripetono sempre le stesse preghiere ad altissima voce e altre 3 o 4 volte leggono il Corano sempre ad alta voce. Non è una situazione facile da sostenere, specie quando non si ha neppure uno spazietto per passeggiare o per lo meno riposare. Le celle sono strapiene. Non fa sicuramente bene allo stato psicologico dei detenuti. Ad un certo punto iniziai a lodare e invocare il Nome del Signore come è scritto nel libro dellApocalisse, capitolo 4, dove si parla di coloro che sono continuamente davanti al trono di Dio e invocano Santo, santo, santo il Signore Dio, lOnnipotente, Colui che era, che è e che viene! Quelli possono farlo incessantemente, in eterno – anzi lo fanno incessantemente, in eterno. Così iniziai anch’io a lodare il Signore di continuo e devo dire che da quel momento in poi cominciai a sentire una pace interiore sempre più intensa. Le cose con gli islamici si mettevano davvero male. Stavo per essere vittima del waterboarding. Poi di colpo fui trasferito in un’altra cella e devo dire che lì il guardiano in qualche modo mi ha salvato la vita. Me l’hanno già chiesto in tanti. Proprio in quei momenti di estrema sofferenza fisica si prova la calma più totale. Io riuscivo nuovamente a pensare alla famiglia, senza ormai più angoscia o altri problemi di natura psicologica.

Quali sono state le esperienze di vita o gli eventi che Lei ha vissuto nei paesi islamici e che hanno lasciato dentro di Lei le impressioni più forti?

Mi viene da dire che l’esperienza della sofferenza o della persecuzione sentita sulla propria pelle sono tutti aspetti che vi avvicinano infinitamente a Dio. Per i primi quattro mesi non ho avuto la possibilità di avere con me una Bibbia. Dopo quattro mesi di cella d’isolamento ho iniziato a provare una gioia immensurabile. Ho sentito intensamente la presenza di Dio quando ho potuto finalmente pregare ad alta voce. La memoria pian piano si ricomponeva e così potevo cantare più di un canto cristiano. Ho fatto esperienza della vicinanza, anzi della presenza di Dio nella mia vita. La mia esistenza di preghiera è così diventata assai più profonda. Riuscivo a pregare anche 15 ore al giorno, senza pausa, neppure per mangiare. Vedete cosa può accadere nella vita di preghiera di una persona. Una svolta enorme è stata quando all’inizio di maggio ho finalmente avuto di nuovo la possibilità di leggere la Bibbia. Il console ceco riuscì a farmi avere una Bibbia. Fu un miracolo. Avevo fame e sete della Parola di Dio. Potevo leggere solo tra le 8:00 e le 16:30, in base al tempo atmosferico, quando arrivava un po’ di luce nella cella – e tra l’altro in piedi alla finestra. In 3 settimane lessi la Bibbia nella sua interezza - dalla Genesi all’Apocalisse. Poi lessi il Nuovo Testamento ben 10 volte di seguito. E poi l’Antico altre 6 volte. È qualcosa di fantastico. Leggendo la Bibbia ritrovai esattamente gli stessi versi che – quando non avevo la Bibbia con me – lo Spirito di Dio mi aveva rammentato. E progressivamente, una volta ogni tre giorni oppure una volta a settimana venivo accompagnato da un verso concreto della Scrittura, mediante il quale Dio mi dava conforto e coraggio. Per esempio, riguardo alla famiglia, sentivo in me questo passo: Ef 3,20 21 Sia gloria a Dio perché per mezzo della sua straordinaria potenza che agisce dentro di noi, può fare molto di più di quanto noi oseremmo soltanto chiedere o pensare, infinitamente di più di ciò che domandiamo, desideriamo e speriamo. A lui sia gloria nella Chiesa e in Gesù Cristo, in ogni momento e per sempre. Amen. Lo Spirito Santo aveva inculcato dentro di me questo verso e io lo ripetevo, pur non ricordando la citazione esatta. Avevo più o meno capito il significato di quel passaggio. Poi nella Bibbia trovai anche altri versi che mi diedero molta forza e divennero la mia preghiera di lode quotidiana.

Imparavo quei versi a memoria, poiché non sapevo per quanto tempo ancora avrei potuto tenere con me la Bibbia.

Era tutto incerto. Gli islamisti mi facevano domande e io nel rispondere cercavo sempre di inquadrare il Vangelo, per far capir loro quali sono le basi del Vangelo e qual’è il suo messaggio. Vivevo una vita di preghiera nella piena intensità. Invocavo Dio e il Suo spirito agiva in me. Mi spiegava molte cose e mi indicava sistematicamente passi della Bibbia. E io mi nutrivo della Parola di Dio. Mi sbatterono in un’altra prigione (in realtà una stazione di polizia); e poi ancora in un carcere vero e proprio, e lì c’era anche una cappella. Lì mi resi conto che lo Spirito di Dio mi preparava per una missione – e io non lo sapevo all’epoca della mia partenza per il Sudan. In quella cappella predicai due volte a settimana per 6 mesi. Tempo dopo mi resi conto di come Dio mi stesse preparando attraverso quella tempesta nella mia vita. La prigionia era un mezzo attraverso il quale Dio mi attirava a Sé. Ho avuto la possibilità di vivere intensamente la presenza di Dio e di nutrirmi della Parola di Dio. Ho visto come Egli mi preparava a ciò che sarebbe accaduto negli ulteriori 6 mesi. Era fantastico poter essere in quella cappella da mattina a sera. Quando non predicavo, leggevo la Bibbia. Quando non leggevo la Bibbia o qualcuno veniva da me, parlavo alla gente a tu per tu di Dio. Mi sforzavo di farli diventare molto più che semplici visitatori della cappella, ma veri Figli di Dio. Era straordinario. Altrettanto fantastica fu anche l’esperienza nell’ultimo istituto di detenzione, dove mi ritrovai insieme ad un altro pastore, in una sezione che però non aveva la propria cappella. La cappella era ubicata altrove. Ci potevamo andare solo una volta a settimana di domenica. Ma anche lì si poteva predicare.

Nell’ultimo penitenziario non sono rimasto neppure un mese. Ho predicato varie volte lì dentro. C’era anche un altro pastore, Hassan Abdelrahim Kodi. È ancora lì e fa il predicatore, come detenuto. È una posizione piuttosto fuori dal comune. È incredibile osservare come Dio si serva di lui, come lo abbia preparato da studente e poi da predicatore in quella cappella.

Oggi, a distanza di tempo, cosa pensa dei Suoi aguzzini?

Posso affermare in tutta sincerità che non ho mai provato odio nei loro confronti. C’è una sola spiegazione, un solo modo per arrivarci: affidare appieno la propria vita a Cristo e lasciare agire lo Spirito Santo che sgorga in noi.

In altre parole è stato lo Spirito di Dio a darmi la forza di non odiare.

Non rispondere violentemente alla violenza rende a volte ancora più furibondi gli aguzzini. In cella non rispondevo mai con la violenza quando mi davano botte. Dio però intervenne a tempo debito e mi trasferirono da quel posto. Possono dire con sincerità che ho pregato per quei compagni di cella che si sono comportati così male nei miei confronti. Del resto anch’essi sono ferventi. Prendono sul serio il Corano, e in particolare la sua seconda parte. Sono convinti di servire Dio in questa maniera. Gesù ci ha detto che sarebbero arrivate delle persone che ci avrebbero ucciso credendo di servire Dio. Credo che non vi sia esempio migliore di applicazione pratica di questa verità. Gli islamisti tentano di far fuori chiunque a loro avviso è considerato miscredente. Eppure non li ho odiati neppure allora. Ci è voluto del tempo prima che riuscissi a raggiungere una condizione d’animo tale da permettermi di pregare per gli investigatori, procuratori, agenti dei servizi segreti ecc. All’inizio non fu affatto spontaneo. Spesso vogliamo essere pronti a tutto. Siamo sull’allerta. E alla fine ci accorgiamo di non sapere cosa stiamo facendo. Iniziai a pregare anche per i miei ispettori, guardie, giudici... Più o meno dal luglio 2015. Pregavo Dio affinché si mostrasse loro come il Signore, il Salvatore, come l’unico Dio. I musulmani infatti riconoscono Gesù come profeta, nel Corano, ma non come Figlio di Dio. Ed è qui che risiede il problema principale.

Qual è il Suo rapporto con i musulmani e cosa pensa dellIslam?

Devo dire che così come ho fatto esperienza di afflizioni e tormenti da parte degli estremisti, allo stesso modo ho conosciuto molti musulmani affabili ed amichevoli. Anzi devo dire che inizialmente conoscevo solo quest’ultima categoria. Solo in seguito mi sono trovato faccia a faccia con quelli aggressivi. Per esempio ero lì da settimane senza vestiti caldi. Avevo solo 2 paia di pantaloni e 3 t-shirt. Dormivo allungato a terra e il pavimento era freddo. Quando chiesi una coperta mi risposero che chi veniva dalla Repubblica Ceca era abituato al freddo e che quindi potevo scordarmela. Una settimana dopo un compagno di cella (non membro ma solo simpatizzante dell’Isis) mi fece avere una coperta. Non so se lo fece apposta. Un giorno venne sua moglie a visitarlo e gli portò una coperta. Lui però una ce l’aveva già. Me la diede con gli occhi lucidi e mi chiese di pregare per lui. Gli chiesi allora se potevo pregare per lui, affinché trovasse la strada giusta verso Dio. Lui mi disse di sì: prega per me affinché io trovi la strada giusta. Prego ogni giorno per questa persona.

Si chiama Mohamed Al Bashar, un uomo piuttosto affabile e simpatico.

In alcuni momenti, specie quando gli estremisti non lo osservavano, mi si avvicinava per comunicare. In genere si faceva aiutare da un interprete, dato che non parlava benissimo l’inglese. Si comportava sempre in modo cortese nei miei confronti. Di musulmani così ne ho conosciuti tanti. Dall’altro lato, se devo rispondere alla domanda “Come vedo l’Islam”, lo vedo con gli occhi del Nuovo Testamento. Nel primo capitolo di Giovanni leggiamo che chi non ha il Figlio non ha neppure il Padre. Loro rifiutano il Figlio di Dio. Provate a leggere 1 Giovanni 2, 22 -23. L’Islam parte dal presupposto che Dio non ha figlio. Noi però nell’epistola di Giovanni leggiamo: Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Lanticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre. Quando riuscivo a discutere con alcuni islamisti sull’essenza dell’Islam, sulle differenze col cristianesimo, essi dichiaravano che Gesù non era morto in croce, ma al posto suo c’era qualcun altro. Secondo loro Gesù sarebbe stato assunto direttamente in cielo.

Qui scorgiamo dunque qualcosa come i tratti dellanticristo, ovvero la negazione di uno degli insegnamenti principali Cristo nato da una corpo di donna e poi morto nel corpo, per la remissione dei peccati che vengono proprio dal corpo.

Questo articolo base della nostra fede è dunque negato e per questo motivo i musulmani sono obbligati a ripetere 5 volte al giorno le loro preghiere. Un ciclo di queste preghiere si chiama rak’a. Le unità indivisibili chiamate rak’a sono composte a loro volta da 17 e poi 12 altre preghiere facoltative da recitare. Facendo questo è come se compensassero i loro peccati mediante bilance immaginarie. Notiamo dunque un chiaro intento umano di assicurarsi il perdono dei peccati attraverso la propria attività. Anche i cristiani possono cadere in questo tipo di pensieri, quando pensano che ripetendo determinate formule riescono ad assicurarsi qualcosa. Io la vedo con gli occhi del Nuovo Testamento, attraverso ciò che San Giovanni disse prima ancora che l’Islam trovasse il suo spazio su questa terra. In ogni modo, quando vedevo pregare i musulmani, estremisti o meno, notavo che a volte molti di essi pregavano a voce altissima. Non so se fossero quelle preghiere da ripetere o invocazioni spontanee. In loro vedevo il desiderio di avvicinarsi a Dio. Io sono ben lungi dal giudicare qualcuno. Il Signore Dio è vicino all’uomo sincero. Quando si ricerca Dio con sincerità, Egli si fa conoscere e trovare, a prescindere dal fatto se si è musulmani o altro.

Qual è il Suo punto di vista sulla questione migratoria e sulla compatibilità dellislam con la cultura giudaico-cristiana europea? Come dovremmo affrontare il tema dellimmigrazione?

Non mi sento un esperto a riguardo. Ma mi fanno spesso domande del genere. Potrei rispondere in maniera molto semplice. La nostra organizzazione aiuta i bisognosi e i perseguitati nel loro paese di residenza. Aiutiamo chi ha deciso di rimanere nel proprio paese malgrado la persecuzione. Ovviamente rispettiamo coloro che decidono di partire. Noi però puntiamo a chi è rimasto e ovviamente rischiamo anche le proprie vite intervenendo nei posti più caldi quanto a persecuzioni. “La voce dei martiri” aiuta per esempio i cristiani della Siria rimasti in patria. Tempo fa ho letto un articolo sulle condizioni di quei pochi rimasti a casa. Molto spesso sono i giovani, gli individui sani e gli uomini in vigore quelli che decidono di perseguire il proprio sogno di vita altrove. Voglio dire, cercano di realizzarsi dove possono. L’Europa ha abbandonato in maniera assai significativa o addirittura negato le proprie radici cristiane e se n’è allontanata non poco. Forse ciò che ora sta accadendo è un impulso a riflettere sui valori che l’Europa ancora riconosce. È la domanda che secondo me dovrebbero porsi i credenti e i politici di oggi, considerando che l’Europa è stata fondata su determinate radici e oggi quelle radici sono state abbandonate.

Gli islamisti si esprimevano con derisione quando parlavano dellEuropa. Dicevano che siamo stupidi. Gli islamisti dal canto loro esultavano contando e ricontando le percentuali di quei migranti illegali che combattono per lo Stato Islamico.

Si vantavano apertamente di come noi fossimo caduti nella loro trappola. Forse è bene soffermarsi su ciò che pensano loro. Io l’ho sentito direttamente dalle loro bocche. Si vantavano del loro enorme contrabbando di armi verso l’Europa. Per esempio nel sud del Sudan si può acquistare un’arma automatica a 200 dollari, che poi in Gran Bretagna ha un valore di 5.000 sterline. Parlavano apertamente delle loro intenzioni. Se vengono a vivere nei nostri paesi, ufficialmente possono avere una sola moglie, ma in realtà possono vivere con le 4 mogli consentite dalle loro leggi. Non v’è nulla di segreto. Del resto l’ha detto anche il primo presidente algerino Boumedien. Quando l’ultimo soldato francese lasciò il paese disse che un giorno avrebbero conquistato l’Europa non con le armi ma coi grembi delle donne. È la loro strategia. In quasi tutti i nostri paesi sono state approvate le unioni civili. Le coppie convivono senza sposarsi e non vogliono avere figli. Vogliono solo godersi la vita e al massimo fanno un solo figlio. In termini demografici e non solo si può già dedurre che – se le cose non cambiano – la cultura europea ha già intrapreso il proprio cammino verso l’estinzione.

Nonostante la Sua esperienza in Sudan si sta apprestando ad aiutare nuovamente altri paesi africani. Cosè che La spinge a farlo, dopo tante sofferenze e rischi?

Finora ho lavorato non solo per il Sudan. Mi sono occupato molto del Sudan, specie della parte meridionale, che per 90 anni ha conosciuto un genocidio sistematico della popolazione cristiana. Ho iniziato ad occuparmi del Sudan dall’inizio degli anni ‘90, ma nel frattempo mi sono dedicato anche ad altri paesi in Asia Centrale, Medio Oriente e altri paesi africani, specie negli ultimi tempi. A livello internazionale “La voce dei martiri” porta avanti diversi progetti. Per esempio nel 2015 erano in corso 27 progetti per l’Africa. A parte 7 o 8 paesi ho visitato quasi tutto il continente. Uno dei paesi da me più visitati è stata la Nigeria.

Nel nord della Nigeria è in atto una della più atroci persecuzioni di cristiani. Gli uomini cristiani vengono sistematicamente uccisi e le donne violentate. E comunque alla fine anche donne e bambini finiscono per essere trucidati.

È qui che ci concentriamo in modo particolare. Quanto alla mia persona, in precedenza, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia e in altri paesi ho fatto vari apparizioni sotto pseudonimo. Poi c’è stata tanta “pubblicità” non desiderata. La mia fotografia è stata pubblicata sul sito dell’Interpol. Tutto a un tratto il mio nome è apparso su tutti i mass-media. Oggi so dunque che il profilo delle mie azioni dovrà in qualche maniera essere rivisto. Credo che ci siano vari paesi in cui non riuscirò più ad entrare, poiché non mi concederanno il visto. Tornato dal Sudan sono stato intervistato da un giornalista della televisione nazionale ceca. Questi mi ha rivelato che aveva provato a cercare informazioni sulla mia persona su Google e su internet in generale, ma aveva trovato ben poco. Era proprio così che dovevano andare le cose... Ora la situazione è radicalmente cambiata. Addirittura oggi mi hanno dedicato anche una pagina su Wikipedia e basta digitare il mio nome su Google per vedere centinaia e centinaia di foto e informazioni sulla mia cattura e rilascio. È chiaro che le mie modalità di azione dovranno cambiare radicalmente; forse da oggi avrò più che altro il ruolo di ambasciatore dei cristiani perseguitati. Ovviamente parlerò non poco della mia esperienza e visiterò diversi paesi dove i cristiani non sono perseguitati, dove ci sono persone interessate al nostro lavoro e pronte a sostenere i nostri progetti. Innanzitutto vorrei riposare. Poi vorrei anche scrivere un libro. “La voce dei martiri” ha intenzione di pubblicarlo appena possibile. Sto già facendo vari viaggi tra Repubblica Ceca e Slovacchia. A fine aprile credo che sarò a Bratislava. Ho già tanti inviti da parte di molte comunità nella Repubblica Ceca e Slovacchia. Di certo non intendo perdere i contatti con la Chiesa perseguitata. Forse incontrerò i cristiani perseguitati da qualche parte in territorio neutro. In Sudan la vedo difficile. Se non cambia il regime è difficilissimo per me ottenere un altro visto. Non so come incontrarmi con i cristiani perseguitati di laggiù. Potrei però vedermi con alcuni di loro in Egitto, Etiopia, Kenya, Uganda o altri paesi confinanti. Non voglio perdere i contatti con la Chiesa perseguitata. Lavorerò in altre forme, ma penso di poter fare belle cose per il Corpo di Cristo a livello mondiale. Cercherò di parlare di più dove i cristiani ne hanno bisogno, affinché possano davvero essere membra di Cristo e affinché i non perseguitati siano sempre più uniti ai loro fratelli e sorelle perseguitati.

Come formulerebbe il Suo messaggio di vita e il Suo invito a seguire Gesù Cristo?

Oggigiorno, specie in Occidente, ci troviamo spesso di fronte a falsi inviti verso Cristo. Mi spiego meglio. Nel mondo occidentale si sta diffondendo molto la teologia della prosperità. Di sicuro ne avete sentito parlare. Nessun paese occidentale è immune. Il mio invito ad accogliere Cristo suona un po’ diversamente. Io non parlerei di vita fatta di salute, ricchezza e felicità quando si incontra Cristo. Facciamo attenzione a ciò che dicono i Vangeli. Cristo stesso ha messo in guardia i suoi discepoli: se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi (vedi Vangelo di Giovanni). In diversi passi leggiamo come Gesù prediceva ai suoi seguaci che sarebbero stati perseguitati, Nella Seconda Lettera a Timoteo, 3,12 l’apostolo Paolo spiega E daltronde tutti quelli che vogliono vivere pienamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Nonostante tutto, vorrei invitare tutti a seguire Cristo. Come testimonianza posso parlare della mia vita, dei miei momenti più terribili, delle tempeste più intense; ed è proprio allora che Cristo si fa conoscere – proprio come fece coi suoi discepoli su quella barca... Proprio di questo ho parlato quest’ultima domenica nella nostra comunità. Nel Vangelo di Matteo leggiamo anche di due tempeste che Cristo mise a tacere. È interessante notare che in occasione della prima tempesta i presenti si chiedono chi fosse mai quell’uomo da riuscire a placare il vento. La seconda volta ammettono che deve essere di sicuro il Figlio di Dio e si inchinano davanti a lui.

Io direi dunque che il vero invito è affidare la propria vita a Cristo e accogliere lofferta di riconciliazione con Dio attraverso la persona di Cristo. Ecco il mio invito. Ecco perché solo in Cristo possiamo trovare la vera pace.

Il Signore dice che la sua pace non è la pace secondo quanto pensa il mondo. La sua pace è una pace totale, perfetta. La gente di oggi, col suo caos e con la sua continua fretta, non riesce ad afferrarlo. Oggi si vive con tanta inquietudine, in preda a grossi conflitti. Da una parte c’è la voglia di successo, ricchezza e dall’altra parte ci si rende conto della caducità e della vanità di tutto. Bisogna invece ripartire proprio da questa vera pace; dalla pace di Cristo che solo egli ci può dare e che possiamo ottenere gratuitamente, se crediamo nel suo sacrificio di espiazione sulla croce. È la pace che possiamo ricevere tutti. E vi assicuro che non la si perde, neppure quando arrivano tempeste o forti crisi nella vita. Posso presentare come testimonianza la mia vita. Posso assicurarvi che il Signore Dio è fedele, anche nelle tempeste più intense della vita. Egli è sempre sulla barca insieme a noi ed è anche l’ancora della nostra vita.

 


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